CARCERI: UNA SITUAZIONE INGESTIBILE

Più volte nei mesi scorsi abbiamo lanciato grida di allarme sulla gravità della condizione in cui versano gli istituti penitenziari pugliesi, evidenziandone il grave affollamento associato alla altrettanto gravissima carenza di personale di polizia penitenziaria, le cui punte avanzate indicano che eravamo sull’orlo del collasso, soprattutto negli istituti di Foggia, Taranto, Bari e Lecce. Senza dimenticare Trani, Brindisi e le carceri più dimensionate quali quelle di Lucera, San Severo e Turi. Grida di allarme che erano in realtà richieste di aiuto all’Amministrazione Penitenziaria, rimaste del tutto inascoltate.

Evidenziavamo che il super affollamento, la particolare criminalità pugliese con una prevalente recrudescenza nell’area foggiana, la scure del taglio del  25%  degli organici di Polizia Penitenziaria pugliesi sommato ad una forte anzianità, le conseguente di ulteriore perdita di unità per pensionamenti stava per generare una miscela esplosiva senza precedenti. Quelle grida di allarme provenienti direttamente dai lavoratori del settore: Direttori, comandanti ed operatori, tutte cadute nel nulla.

Ebbene, proprio dove avevamo più evidenziato i nostri timori, abbiamo riscontrato le più gravi proteste dei detenuti di questi giorni, con la punta massima a Foggia, dove il carcere è stato gravemente danneggiato dalla furia di una rivolta di detenuti che c’entra poco con il coronavirus e la paura del contagio ma le cui questioni in campo sono ben altre.

Quello a cui assistiamo è l’epilogo di una situazione gravissima, che ha generato una rivolta ed evasione in massa di detenuti a Foggia, tumulti a Trani e proteste di battiture delle inferriate, seppure con minor epiloghi a Bari, Taranto e Lucera e tensioni a Lecce, San Severo, Brindisi e Turi.

Appare chiaro che quello del coronavirus e le limitazione dei colloqui con le famiglie è stato un pretesto, la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Basti dire che a Foggia i colloqui tra i reclusi e i loro familiari si stavano effettuando senza particolari restrizioni. La verità è che alla base vi è il chiaro intento di forzare la mano, profittando delle difficoltà per ottenere provvedimenti di clemenza e non piuttosto uno scambio immutato con i familiari.

 Il rischio salute ad oggi nelle carceri, proprio per le misure adottate e per la natura di “quarantena” in cui le carceri e i detenuti già si trovano, non ha visto un caso di contagio nemmeno nelle zone rosse.

La questione, posta e recepita in modo responsabile, è certamente degna di attenzione, le cui ragioni stanno tutte nel sovraffollamento eccessivo e nella carenza di personale a gestire questa condizione e può trovare sollievo negli strumenti normativi già a disposizione quali le sospensioni pena, la detenzione domiciliare e le misure alternative.

Strumenti che seppure non applicabili a tutti, possono consentire con i dovuti accorgimenti un allargamento delle maglie per alleggerire le carceri e fronteggiare il momento particolare di rischio potenziale per il sistema.

Cosa che alla luce degli eventi nazionali, appare oggi di difficile applicazione, anzi, con i sensibili aumenti di pena per rivolta, devastazione ed evasione come nel caso di Foggia, Modena, Pavia, Salerno, Bologna, Milano Roma ecc.. ne rendono impensabile ed improponibile l’applicazione.  

 Siamo di fronte a una situazione di fortissima pressione incandescente, parallelamente purtroppo a quanto accade nel resto del Paese, dove negli ultimi tre anni alle circa 3500 aggressioni ai danni degli uomini e delle donne che lavorano negli istituti penitenziari, si è aggiunta in questi giorni una situazione di patologia diffusa nel Paese.

I livelli di rischio sono evidenti per chi lavora all’interno del carcere e non sono soltanto molto alti ma in questi anni stanno aumentando sempre più.

Basti pensare che tra le forze dell’ordine, le donne e gli uomini che lavorano in carcere si registra  il maggior tasso di patologie legate a stress, stati d’ansia e depressione. Anche il tasso di suicidi e degli stessi tentativi è altissimo tra gli agenti di Polizia penitenziaria.

Per superare il grave momento, innanzitutto pensiamo che occorra potenziare gli organici e in seconda battuta è necessario attivare interventi di sostegno psicologico per il personale in modo continuativo. Occorre dotare il personale e le strutture di sistemi di sicurezza elettronici e studiare misure più cogenti ed immediate per i detenuti che si rendono responsabili di aggressioni, devastazioni e rivolte.

Come ha sottolineato la Fp Cgil nazionale, l’attuale situazione rappresenta “la sconfitta della gestione attuata dal Ministro della Giustizia Bonafede e dal Capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Basentini”. Non c’è sicurezza, gli organici sono carenti e in progressiva diminuzione e le strutture carcerarie sono strutturalmente inadeguate: tutti problemi aggravati dal sovraffollamento della popolazione carceraria. Ma non possiamo procrastinare oltre nell’offerta di soluzioni che devono andare nel senso di supporto a tutto il sistema. 

Bari, 10 marzo 2020

Gennaro Ricci, Coordinatore regionale
Patrizia Tomaselli, Segretario